In molti hanno definito Selvaggio Blu come il trekking più duro d’Italia.  Io direi che si tratta dell’esperienza più faticosa che noi frequentatori delle Alpi possiamo sperimentare, ma allo stesso tempo di una vera Avventura zaino in spalla in uno degli angoli selvaggi più belli d’Italia (e non solo).

Selvaggio Blu non è un sentiero, io parlerei di resti di antiche mulattiere costruite dai Carbonai ai primi del Novecento, ora più o meno inglobate dentro una vegetazione molto rigogliosa. Parlerei di tracce di pastori sardi che per badare alle loro capre in un ambiente aspro e roccioso a picco sul mare  hanno trovato passaggi molto arditi tra le falesie e i boschi di lecci, sicuramente senza la corda (fino al IV grado) e spesso aiutandosi con tronchi di ginepro (iscala ‘e fustes) poggiati sulla roccia per saltar su da un bosco all’altro.  Dunque queste mulattiere, tracce di sentiero, iscala ‘e fustes, tratti di arrampicata fino a IV grado (oggi addomesticati in qualche punto da un cavo metallico) e vertiginose calate con la corda, sono il “sentiero” di Selvaggio Blu.

Secondo la nuova guida di Mario Verin e Giulia Castelli, Selvaggio Blu è percorribile in 4 giorni, molti preventivano 6 giorni di trekking. Noi abbiamo camminato  per cinque giorni, aiutati per i rifornimenti giornalieri da una compagnia locale, e abbiamo scelto due comodità in più rispetto a 4 bivacchi. Già, i comodi rifugi a cui noi siamo abituati qui non esistono. Materassino in poliuretano e un sacco a pelo sono sufficienti per passare le notti all’aperto sotto le stelle.

Nel primo giorno, da Santa Maria Navarrese abbiamo seguito il percorso classico attraverso la Cengia Giradili per fermarci all’ Ovile Ginnircu. Il secondo giorno, raggiunta direttamente Punta Salinas senza passare per Porto Quau, sciamo scesi  a Cala Goloritzé per fare il bagno, e poi siamo risaliti a Golgo per una cena tipica a cinque stelle e una cameretta con bagno privato (un vero lusso!). Il terzo giorno siamo passati per la Chiesa di San Pietro, il bellissimo Ovile S’Arcu ‘e su Tasaru, e nella discesa verso Ispuligi abbiamo tagliato verso nord attraverso un bosco ripido e “tecnico” che tanto mi ha ricordato quelli della Valle di San Lucano in Dolomiti. La prima calata verticale sopra Mudaloru è stata una esperienza forte per chi del nostro gruppo era alle prime armi, e la grotta a pelo d’acqua dove abbiamo pernottato una vera sorpresa per tutti.

 

Rob sul tratto chiave di Selvaggio Blu.

Rob sul tratto chiave di Selvaggio Blu.

Dopo la frana, è ora di indossare l’imbrago per l’ultima volta, perché c’è da attraversare il tratto chiave di Selvaggio Blu, una paretina verticale ricca di appigli (III grado) oggi attrezzata con catene, a cui segue una lunga calata verticale sopra il bosco di Plumare. Le difficoltà sembrano ormai un lontano ricordo scendendo il facile bosco, ma ultima calata sul vuoto di 20 metri è il gran finale a pochi minuti a piedi da Cala Sisine, la fine della nostra avventura.
Ringrazio Marcello Cominetti per avermi e averci accompagnato in questo Selvaggio Blu, e ringrazio Alon e i suoi amici per essersi fidati di noi guide. Gli avevo promesso un trekking speciale e avventuroso dove un “passo sicuro e assenza di vertigini” sono indispensabili (in molti non avevano capito cosa volesse dire “passo sicuro”, al terzo giorno tutto è diventato chiaro, in un flash), e loro sono rimasti a bocca aperta in questi 5 giorni di vita vera, a picco sul mare.